Ho avuto dei giorni intensi e ho pensato molto al tema di questa pagina. E dopo alcune riflessioni vorrei soffermarmi sull’importanza delle parole che noi utilizziamo e su come non ci rendiamo conto che possono far male. Partirei proprio da un fatto avvenuto circa a metà del mese scorso, riportato da alcuni giornali con titoli che suonavano circa così: “Ma che stai sulla Salaria?” Studenti in rivolta per la frase della professoressa.
Diciamo la verità: è stata proprio una brutta frase.
Ma perché tanta indignazione? I ragazzi usano parole più forti? Ma che male c’è?
Ricostruiamo un po’ l’accaduto, per chi se lo sia perso. Una ragazza di un liceo romano durante l’ora buca, utilizza il tempo a scuola per farsi un video di TIK TOK, alzandosi la maglietta in modo che l’ombelico venisse scoperto. Entra l’insegnante per far supplenza e le dice “ma che stai sulla Salaria”? Per chi non lo sapesse, come me prima della vicenda, la Salaria è una via rinomata di Roma per la prostituzione. C’è piazza di Spagna per l’alta moda e la Salaria per altre cose.
Ora se l’insegnante fosse entrata in classe e avesse detto “Ma che stai a Piazza di Spagna?” si sarebbe avuto lo stesso scalpore? Secondo me no.
Eppure forse si doveva avere, perchè stona comunque: se volessi fare un complimento a qualcuno userei frasi del tipo “come ti sta bene quest’abito” oppure “ciò che indossi ti rende solare”. .
Se l’espressione fosse stata usata tra coetanei avrebbe avuto lo stesso scalpore? Forse no, ma ricordo fatti di cronaca in cui per colpa di alcune parole qualcuno si è tolto la vita. Le parole fanno male, più dei pugni, a volte. Ormai si dice così. C’è anche una canzona di Cesare Cremonini “Le tue parole fanno male” che racconta di quanto queste se usate male possano ferire, ma anche che sono essenziali per comunicare, per trasmettere emozioni, opinioni e per risolvere problemi.
Le frasi fatte, i preconcetti, gli stereotipi, i pregiudizi in una società come la nostra, che dovrebbe tendere all’interculturalità dovrebbero essere eliminati. L’educatore che sia insegnante o genitore dovrebbe contribuire maggiormente a creare un mondo diverso, dove ci sia più confronto e meno giudizio.
Ma poi io mi domando se fosse stato l’alunno a dire alla prof “ma dove pensi di essere al cimitero?” Magari in virtù del fatto che la lezione era particolarmente noiosa. E ricordo bene alcuni insegnanti ipnotici: bravissimi a farti calare la palpebra. Cosa avrebbe fatto l’insegnante in quel caso? Una bella nota. Come accadde ad un compagno di liceo che un giorno, pieno di goliardia, andava per i corridoi facendo finta di esse un cane. La nota era più o meno questa “Pietro continua ad aggirarsi per i corridoio credendosi un cane”.
Io sono dell’idea che se l’insegnante avesse voluto trasmettere qualcosa all’alunna avrebbe potuto focalizzarsi di più sul messaggio da trasmettere, “per piacere mettiamo via TIK TOK e ricomponiamoci, vi ricordo che siamo a scuola e non nella vostra cameretta. A scuola non è consigliato tirarsi su la maglietta, soprattutto potreste prendere una congestione, oltre che non essere l’abbigliamento idoneo. Ogni luogo ha il suo modo di vestirsi e richiede un atteggiamento diverso e appropriato”.
Che non si dica che i ragazzi non ascoltano. Se tutte le volte ci rivolgiamo a loro in modo fin troppo da “bar” è normale che pensino che siamo tutti amici e non ci danno retta, come fanno tra di loro.
A volte capita anche a noi genitori, di rivolgerci ai nostri figli con frasi o parole poco piacevoli, ma “utilizziamo la scusante”: io non ho studiato per essere genitore. Io per esempio quando mi arrabbio o per far capire meglio il concetto uso un intercalare poco genuino. “Cazzo o Minchia” in alternativa. Mi rendo conto che non sono parole raffinate, e quando le utilizzo erroneamente davanti ai miei bimbi, mi tappo subito la bocca e poi dico ”Ops, scusate sono molto arrabbiata. Voi non ripetete perché certi vocaboli non si dovrebbero dire mai”. No non sono perfetta e non voglio insegnare niente a nessuno.
Ma da quando sono mamma e da quando sto studiando materie più umanistiche e introspettive mi rendo conto di quanto sottovalutiamo l’utilizzo delle parole, di quanto diamo per scontato il nostro ruolo di genitori e che pensiamo che non corrisponda a quello di educatori e di quanto giustifichiamo alcuni atteggiamenti o modi di dire.
I bambini, i ragazzi imparano da noi. Ricordo ancora con divertimento una conversazione tra me e Leo, lui aveva circa sei o sette anni. Ed eravamo in un’azienda agricola con diversi animali e ad un certo punto gli dico “E’ qui che casca l’asino: se uno ti da fastidio apposta tu devi andare via, non rispondere alla provocazione”, lui si ferma, si guarda in giro e mi risponde perplesso: “Mamma ma non è caduto, l’asino è ancora lì in piedi!” Io sono rimasta un po’ sbigottita ma ho capito cosa vuol dire comunicare con i bambini.
Nel caso dei ragazzi, già ribelli per l’età e pieni di ideali da difendere (per fortuna aggiungo!), la frase incriminata è davvero tristissima. Primo perché lottiamo tanto per difendere le donne, il loro modo di vestirsi, diciamo che devono essere libere e cose di questo genere e poi se una va in giro con la pancia di fuori le si da della poco di buono. Poi perché si parte da un pregiudizio “chi sta sulla Salaria è una prostituta” ma perché mi domando io, che sulla Salaria non sono mai andata, non ci sono case? E saranno mica abitate tutte da prostitute? Terza tristezza: chi si è pronunciata è un’insegnante, colei che dovrebbe educare. Ma che hai educato cara prof.? E se tutto fosse terminato con una risata e magari la ragazza si fosse coperta la pancia e avesse messo la testa sul banco? Sarebbe stato meglio? Poi magari la ragazza o chi per essa, durante una cena in famiglia, per fare un “complimento” a qualche invitato con le spalle scoperte, “ma che sei sulla Salaria?” e tra gli inviati tutti sbigottiti “ma che’ Patrizia, dice vero tua figlia?” Rivolgendosi alla madre, stesa ormai sul pavimento priva di sensi, che sbiascicando qualcosa cerca di riprendere la figlia “ma-ma Laura che ti abbiamo insegnato a parlà così?”. E la povera Laura anche lei affranta, non capisce perché tutto questo grande clamore, in fin dei conti è stata la professoressa ad averle insegnato quest’espressione. Che abbiamo ottenuto alla fine? Solo una maglietta abbassata.
Vogliamo crocifiggere l’insegnante? Si! Perché il suo ruolo è fondamentale per far crescere i ragazzi.
E’ un po’ come quando i bambini alla scuola materna o elementare dicono le parolacce, “Mario ma dove hai sentito questa parola?” “La mamma la dice sempre!” Vogliamo crocifiggere i genitori? Si! E io sono una di quelli che andrebbe crocifissa.
Una volta c’era questo detto “parla come mangi” che si traduceva in “parla in modo semplice, genuino, spontaneo” ecco io terrei il detto ma gli cambierei di significato. “Parla in modo BUONO” come quello che mangi, perché nessuno di noi reputa “CATTIVO” ciò che ha nel piatto.